Alexandre Pato si è raccontato a cuore aperto in una lettera pubblicata su The Players Tribune: le sue parole sull’esperienza al Milan sono da brividi.
Considerato ai tempi uno dei giovani più forti del calcio mondiale, la stella di Alexandre Pato si è spenta sempre di più a causa dei numerosi e gravi infortuni che ha dovuto affrontare nel corso della sua carriera.
Dopo la clamorosa rivincita di Atene contro il Liverpool del 2007 che ha permesso ai rossoneri di vincere la loro settima Champions League della storia, il Milan si presentò ai nastri di partenza della stagione successiva con un acquisto molto chiacchierato: quello di Alexandre Pato. L’allora 18enne attaccante brasiliano era uno dei giovani più richiesti sul mercato, ma Galliani riuscì a sbaragliare la concorrenza dei top club europei strappandolo all’Internacional per l’importante cifra di 22 milioni di euro.
Pato arrivò in una squadra formata da super campioni come Maldini, Pirlo, Seedorf, Kakà e tanti altri, ma fin da subito mostrò al mondo il suo valore. Nella partita del suo esordio, il 13 gennaio 2008 a San Siro contro il Napoli, l’attaccante brasiliano firmò il suo primo gol chiudendo la partita sul 5-2 per i rossoneri. L’anno successivo si laureò capocannoniere della squadra con diciotto marcature stagionali, mentre nel 2009 rimane iconica la doppietta in Champions League contro il Real Madrid che permise al Milan di espugnare il Bernabeu.
Pato diventò il giocatore più giovane della storia del club a raggiungere 50 gol in partite ufficiali con la maglia rossonera. Il 13 settembre 2011 si rese protagonista del gol più bello della sua carriera, quando dopo appena 24 secondi gelò il Camp Nou con uno scatto in velocità che sorprese l’intera difesa blaugrana. Poi gli innumerevoli infortuni che ne stroncarono di fatto la carriera: caviglia, cosce, tendine d’achille, adduttori e tanti altri.
Dopo due stagioni passate più in infermeria che in campo, il Milan decide di cederlo al Corinthians per 15 milioni di euro. La sua carriera prosegue poi al San Paolo, al Villarreal, al Tianjin, di nuovo al San Paolo e nelle ultime due stagioni all’Orlando City in MLS, ma Pato non ritorna mai più quello ammirato nei primi anni di carriera. In una lettera pubblicata a The Players Tribune, l’attaccante brasiliano ha raccontato a cuore aperto tutti i passaggi della sua carriera.
“Sarei potuto andare al Barcellona, all’Ajax, al Real Madrid. Perché il Milan? Beh, lasciate che vi faccia una domanda. Avete mai giocato con quel Milan alla PlayStation? Erano incredibili! Kaká, Seedorf, Pirlo, Maldini, Nesta, Gattuso, Shevchenko… Sheva era inarrestabile! Il Fenomeno, il VERO Ronaldo. Avrei potuto giocare con lui. Che formazione. Avevano appena vinto la Champions League. Il Milan in quei tempi era la squadra”.
“In quei giorni pensavo che sarei arrivato davvero al top. Le aspettative erano altissime. La cosa certa era che io fossi il super talento. Giocavo già per il Brasile. La stampa scrive di te, i tifosi parlano di te e anche gli altri giocatori ti esaltano. Amavo le attenzioni. Volevo che si parlasse di me. Ma sapete cosa è successo? Ho iniziato a sognare troppo. Anche se continuavo a lavorare duro, la mia fantasia mi portava in posti di tutti i tipi. Nella mia testa avevo già il Pallone d’Oro in mano. Non potevo evitarlo. È davvero difficile non lasciarsi travolgere”.
“Nel 2010 ho iniziato a essere infortunato tutto il tempo. Non avevo più fiducia nel mio corpo. Aveva paura di quello che la gente potesse dire di me. Mi infortunavo non lo dicevo a nessuno. Una volta mentre stavo recuperando da un problema muscolare ebbi una distorsione alla caviglia e continuai a giocare. Mi sentivo così solo. Quindi quando ero in difficoltà al Milan, non avevo idea di cosa fare. Oggi ogni giocatore ha un team che lo segue no?! Dottore, fisioterapista, preparatore. All’epoca solo Ronaldo ce lo aveva. Ho pianto, pianto e pianto ancora. Avevo paura che non avrei potuto più giocare a calcio”. Un racconto drammatico che spiega come per Pato sia stato molto difficile gestire tutti questi problemi nonostante fosse ancora un bambino.
Ora l’attaccante brasiliano, a 32 anni, non ha però più nessun rimpianto. È in pace con sé stesso e per lui è la cosa che conta di più al mondo.
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